Di certo ormai nessuno si scandalizzerebbe se un amico o se un parente o se un collega di lavoro gli mostra un tatuaggio tribale, oppure esprimere il desiderio di farsene uno perché ne hai già sentito parlare o perché lo ha visto su internet, e questo perché ormai fortunatamente da molti anni parlare di un tatuaggio non è più un tabù e questo è positivo senza dubbio.
Non sempre è stato così perché, se vogliamo essere sinceri se parliamo di qualche decennio fa una persona che manifestava semplicemente il desiderio di volesse farne uno veniva vista come una persona strana e anzi veniva associato un tatuaggio a persone disadattate per usare un eufemismo.
Chiaramente poi ci sono persone che tra l’altro non solo se ne vogliono fare uno ma ne hanno tanti disegnati sul corpo e quindi sono persone che poi vogliono sperimentare vari stili e non voglio rimanere solo per esempio con il classico tatuaggio realista e in questo caso vogliono provare un modello di tatuaggio abbastanza interessante.
Ma soprattutto sono persone che magari hanno già dei professionisti di riferimento che gli propongono nuove idee e sono delle persone di cui si fidano anche per la loro creatività oltre che per la loro professionalità.
Il tatuaggio deve essere sempre connesso a un qualcosa che abbiamo dentro e che vogliamo esprimere all’esterno e vogliamo che gli altri lo vedano soprattutto quando parliamo di tatuaggi che si trovano in delle posizioni visibili del nostro corpo.
Se parliamo nello specifico di disegni tribali stiamo parlando di disegni che hanno vari significati e profondamente diversi dipendendo dalla tribù e ad esempio esistevano quei disegni che volevano mettere in evidenza un determinato status sociale all’interno della stessa, oppure altri disegni che venivano utilizzati come talismani contro le energie negative o per attirare amore.
Per esempio, nelle varie tribù erano i guerrieri che volevano questi tatuaggi e li volevano in delle parti visibili che potevano mostrare in una guerra e quindi parliamo di petto, schiena o bicipiti.
In ogni caso tecnicamente parlando di disegni che potevano raffigurare degli animali o delle piante e pensiamo al classico tatuaggio del leone che simboleggia coraggio e che vuole esprimere all’esterno determinazione ed è solo un piccolo esempio.
Quando parliamo di tatuaggi tribali parliamo di un mondo molto vasto
Come dicevamo dal titolo di questa seconda parte quando parliamo del mondo dei tatuaggi tribali parliamo di un mondo molto vasto e un altro esempio di disegni di animali potrebbe essere quello delle libellule che simboleggiano rinascita visto che parliamo di un insetto che vola libero ed è una figura, per esempio, molto amata dai giapponesi ancora oggi.
Parliamo di un mondo sempre in evoluzione e comunque chi opta per uno stile tribale per un tatuaggio opterà dal punto di vista dei colori per un nero senza ombreggiature e senza sfumature e questo ce lo ricorderanno i vari professionisti quando ci andiamo a parlare.
Professionisti con i quali bisognerà mettersi d’accordo anche sul preventivo, preventivo che dipenderà in primis dalla grandezza del tatuaggio.
Link Utili:
Il tatuaggio (derivato dal francese tatouage, a sua volta dal verbo tatouer e questo dal termine anglosassone tattoo, adattamento del samoano tatau) è sia una tecnica di decorazione pittorica corporale dell’uomo, sia la decorazione prodotta con tale tecnica. Tradizionalmente la decorazione è destinata a durare per molto tempo,a volte per sempre, ma in tempi recenti sono state inventate tecniche per realizzare tatuaggi temporanei.
Nella sua forma più diffusa, la tecnica di questa modificazione corporea consiste nell’incidere la pelle ritardandone la cicatrizzazione con sostanze particolari (più precisamente è chiamata scarificazione) o nell’eseguire punture con l’introduzione di sostanze coloranti nelle ferite. Questa tecnica, che oggi sembra facile da eseguire,è stata resa possibile dal susseguirsi e dall’evolversi di tecniche più svariate e ardue nell’antichità. (Wikipedia)
Origini del tatuaggio
Tatuaggi terapeutici sono stati ritrovati sulla mummia dell’”uomo di Pazyryk” nell’Asia centrale con complicati tatuaggi animali o quello della principessa di Ukok (Mummia dell’Altai) databile intorno al 500 a.C. che rappresenta un animale immaginario (cervo e grifone) di un alto livello artistico, arrivato quasi intatto a noi grazie alla permanenza nel permafrost. Tra le civiltà antiche in cui si sviluppò il tatuaggio fu l’Egitto ma anche l’antica Roma, dove venne vietato dall’imperatore Costantino, a seguito della sua conversione al Cristianesimo. È peraltro da rilevare che, prima che il Cristianesimo divenisse religione lecita e, successivamente religione di Stato, molti cristiani si tatuavano sulla pelle simboli religiosi per marcare la propria identità spirituale.
È inoltre attestata nel Medioevo l’usanza dei pellegrini di tatuarsi con simboli religiosi dei santuari visitati, particolarmente quello di Loreto. Fra i cristiani la pratica del tatuaggio è diffusa fra i copti monofisiti. Col tatuaggio i copti rimarcano la propria identità cristiana, i soggetti sono solitamente la croce copta, la natività e il Santo Mar Corios, martirizzato sotto Diocleziano e rappresentato in sella ad un cavallo con un bambino. La religione ebraica vieta tutti i tatuaggi permanenti, come prescritto del Levitico (Vaikrà) (19, 28). In particolare, l’Ebraismo vieta ogni incisione accompagnata da una marca indelebile di inchiostro o di altro materiale che lasci una traccia permanente. (Wikipedia)
Tecniche di tatuaggio
Gli Inuit usano degli aghi d’osso per far passare attraverso la pelle un filo coperto di fuliggine (la china, che artigianalmente e impropriamente si adopera per lo scopo è in fin dei conti una sospensione acquosa di fuliggine).
Nelle zone oceaniche (Polinesia, Nuova Zelanda) il tatuaggio viene eseguito tramite i denti di un pettine di osso che, fermato all’estremità di una bacchetta (formando così uno strumento di forma simile a un rastrello), e battuto tramite un’altra bacchetta, forano la pelle introducendo il colore, ottenuto quest’ultimo dalla lavorazione della noce di cocco.
I giapponesi, con la tecnica detta tebori, usano sottili aghi metallici e pigmenti, adesso di molti colori, ma che in origine erano rosso, giallo e indaco, oltre al nero in varie gradazioni, e introducono nella pelle sostanze di natura chimica diversa e di colore diverso. La tecnica giapponese prevede che gli aghi, fissati all’estremità di una bacchetta di bambù, che viene fatta scorrere avanti e indietro (di forma simile a un sottile pennello), siano fatti entrare nella pelle obliquamente, con minor violenza rispetto alla tecnica polinesiana, ma comunque in modo abbastanza doloroso. (Wikipedia)